“Miopia organizzativa. Problemi di razionalità e previsione nelle organizzazioni” di Maurizio Catino. Recensione di Cristhian Re, S News
“Segno distintivo dell’uomo è l’interpretare e non il decidere” [J.G. March e J.P. Olsen]
Il titolo dell’opera – immediato, diretto e seducente – non deve trarre in inganno. L’autore non è uno qualsiasi, è Maurizio Catino, professore ordinario presso l’Università di Milano Bicocca. Egli, da buono scienziato, non si limita ad analizzare processi e meccanismi che inducono o favoriscono la miopia organizzativa (quella sindrome di cui sono affette anche le organizzazioni scarsamentecapaci di prevedere gli effetti delle proprie decisioni), ma affronta più in generale il tema afferente la “cultura dell’errore” che colpisce, ahinoi, tutti.
Viviseziona, da sociologo rigoroso, casi eccellenti che hanno fatto la storia degli errori del genere umano: la progressiva deforestazione dell’isola di Pasqua, Pearl Harbour, i disastri degli shattle NASA, l’11 Settembre e tanti altri ancora.
I casi acribicamente trattati sono funzionali alla dimostrazione della tesi principe di Catino: “Siamo, chi più chi meno, tutti miopi”. I meccanismi e i processi che generano questo difetto della vista, in taluni casi addirittura “istituzionalizzato”, sono molteplici:
– la razionalità limitata;
– le distorsioni cognitive;
– la cultura di un’organizzazione;
– la specifi ca struttura organizzativa;
– i sistemi di coordinamento e di controllo;
– i rapporti tra le organizzazioni controllanti e le controllate;
– la normalizzazione della devianza;
ed emergono – mutuando D. Vaughan – dalla “banalità della vita quotidiana”.
La “cultura della produzione”, poi, fa il resto. Essa pervade ogni ambito e tende a normalizzare la devianza eliminando dal quadro di riferimento i segnali dissonanti. In sostanza, si suole ricercare le prove che confermino solo il nostro punto di vista escludendo le voci dissonanti e le informazioni non coerenti con le aspettative.
Punta il dito contro quei Manager, caratterizzati da hỳbris (tracotanza e, nella cultura greca antica, è anche personificazione della prevaricazione dell’uomo contro il volere divino, l’atteggiamento di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze punito dagli dei), che tendono ad ascoltare soltanto coloro che confermano le loro opinioni e a sottovalutare sempre i segnali di pericolo.
A rafforzare il concetto corrono in aiuto D.T. Miller con “il paradosso di Icaro”, evidenziando come le vittorie conseguite da un’organizzazione e i suoi punti di forza possano condurre i decisori a eccessi che ne causano la caduta, e un trio formidabile, Eihorn, Hogarth e Wason, con il “piano inclinato della conferma” (confirmation bias), l’inclinazione dell’uomo, una volta formulata un’idea riguardo a un evento o alle circostanze, a interpretare ogni altra informazione in modo da confermare o rafforzare la propria comprensione dei fatti.
Infine, ai worst case (casi peggiori) presi in esame fanno da contraltare i best case (casi migliori) ovvero le High Reliability Organizations (HRO), quelle organizzazioni ad alta affidabilità, come appunto le portaerei, da cui imparare o a cui ispirarsi. Si possono identificare le HRO rispondendo alla domanda: “Quante volte questa organizzazione poteva fallire con conseguenze catastrofiche e non lo ha fatto?” Se la risposta – spiega Catino – è nell’ordine delle decine di migliaia, l’organizzazione è altamente affidabile. L’idea, quindi, con cui ci lascia l’autore è quella di apprendere dai soli casi eccellenti, giammai da quelli negativi.
di Cristhian Re, Responsabile Security Cross Processes and Projects A2A e
Comitato Scientifico S News
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